Le aziende del settore food & wine hanno a disposizione innumerevoli canali per raccontare i propri brand. Come accendere i riflettori sul proprio prodotto ed evitare falsi miti? Se ne è parlato all'incontro "Raccontare il food. Media diversi e diversi modi di parlare di cibo", parte del Festival del Giornalismo Alimentare 2019 che abbiamo seguito a Torino pochi giorni fa. Tra storytelling del prodotto e chef testimonial, ecco allora una breve riflessione sul tema.
di Greta Esposito, 28 febbraio 2019
All’International Food Journalism il cibo si racconta
Cresce tra le aziende del settore food & wine la propensione 'al racconto': creare un pubblico, coltivare una relazione continuativa, generare senso di appartenenza ed emozionalità non sono più scelte, ma condizioni necessarie alla vita di prodotti e marchi sul mercato.
Il food è entrato a pieno titolo nel mondo del lifestyle, diventando un vero e proprio trend. Radio, televisione, web, social e carta stampata: il racconto sul cibo si è evoluto e necessita di essere gestito ad hoc secondo il canale utilizzato.
Si è parlato proprio di questo a Torino durante l’ultima edizione dell’International Food Journalism. Insieme a Sandro Capitani (Coltivando il futuro, Rai Radio 1), Cristina Giannetti (Coordinatrice ufficio stampa CREA), Pamela Panebianco (Agrodolce) e uno dei creatori del canale Youtube “Cucina da uomini”, un’ampia panoramica sugli ultimi format che uniscono food, lifestyle, intrattenimento e nuovi media digitali. Un esempio sono i blog e web series dedicate ai food addicted, che godono di community attive e partecipi.
Qual è l'esigenza condivisa da aziende e media? Accendere i riflettori sulla specificità dei prodotti, con narrazioni che tengano in considerazione il saper fare italiano, la provenienza e la storia.
Gli chef come testimonial del mondo food: può bastare per comunicare il prodotto?
Sono molti i brand che si affidano a testimonial di successo, magari sviluppando intere campagne sulla presenza di chef dell’alta cucina. Ma è sufficiente?
Nel corso della tavola rotonda dedicata al racconto del mondo food si è discusso sui pro e contro nel coinvolgimento di volti noti per raccontare prodotti e marchi. Se, da una parte, il volto dello chef come testimonial può essere utile all’interno di una campagna pubblicitaria, dal momento che permette di incrementare la visibilità e la percezione positiva di una marca da parte del pubblico, dall’altra, rischia di lasciare in ombra proprio il vero protagonista della campagna, ovvero il prodotto stesso con le sue caratteristiche e la sua unicità.
Per raccontare bene, in altre parole, non basta delegare il racconto a un personaggio famoso.
Storytelling e falsi miti
Tra storytelling e nuove forme di intrattenimento che hanno come protagonista il cibo, al Festival del Giornalismo Alimentare di Torino si è sottolineata l’importanza di due valori che rimangono fondamentali nella comunicazione food: riconoscibilità e unicità.
Gli esseri umani ragionano narrativamente. Per imprimere riconoscibilità e unicità, non possiamo fare altro che raccontare.
Tuttavia, il termine storytelling è oramai abusato, oggetto di definizioni anche erronee. Certo, raccontare storie vuol dire simulare la realtà attraverso strumenti di mediazione: parole, immagini, filmati.
Ma, come sottolinea Andrea Fontana, lo storytelling non si esaurisce in questo:
“Fare storytelling significa anche dare vita a un universo narrativo, una sorta di habitat, da parte di un soggetto-autore (marca, prodotto, o persona) che invita altri soggetti (lettori, clienti, consumatori, stakeholder etc.) a partecipare a un destino”
Autenticità è territorio
In un paese come l’Italia, dove la cultura passa inevitabilmente dal cibo e dalle sue diverse espressioni, l'aspettativa verso le narrazioni alimentari è molto alta. Partendo dalla produzione, è necessario far conoscere al pubblico il volto e le parole di chi quel prodotto lo crea ogni giorno, attraverso il suo lavoro. In questo racconto non può mancare il collegamento tra qualità e territorio: cosa rende unico un cibo o un vino se non il legame con le sue origini?
Come il Made in Italy insegna, tanto quanto i prodotti, anche la comunicazione necessita di parole cucite su misura che diano valore aggiunto.
Fare comunicazione alimentare non è solamente inviare un messaggio, ma costruire un territorio dove marca e clienti possano convivere.
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