Perché un'azienda che opera nel settore food&wine dovrebbe investire risorse per avere una raccolta di immagini professionale? Oggi, lo sviluppo della tecnologia permette di ottenere buoni scatti anche con l'utilizzo di un semplice smartphone. Nonostante ciò, fotografare il cibo e fare storytelling enogastronomico è una vera e propria professione, da affidare a un consulente competente non solo in fatto fotografia, ma anche in strategia di comunicazione. Ne parliamo con Stefano Caffarri, poliedrico consulente enogastronomico e fotografo food.
I media odierni, specie quelli online, hanno spostato il baricentro della comunicazione di marca e di prodotto sulla percezione visiva. Un'azienda che vuole competere nel settore agroalimentare con un proprio brand, oggi, non può sottrarsi dal realizzare una buona raccolta fotografica. È quanto afferma Stefano Caffarri, consulente enogastronomico e food photographer che, appassionato di cucina, si è specializzato col tempo nella fotografia di ristorazione. La food photography è un campo che non ha come unico soggetto il ristorante, bensì tutti i prodotti enogastronomici – pasta, vino, formaggi, solo per citarne alcuni – con i loro produttori e il loro territorio. E questo, i direttori e i responsabili marketing di aziende produttrici, devono tenerlo ben a mente.
Perché un'azienda che opera nel settore del food&wine non può fare a meno di avere una raccolta di immagini professionale?
«Durante la navigazione sul sito di un'azienda del settore food&wine, la maggior parte degli utenti si sofferma soprattutto sulle immagini. Se queste sono attraenti, allorai visitatori vanno oltre e osservano anche ciò che c'è attorno alle fotografie. Ragione per cui, se si riesce a condensare nell'immagine il racconto, è possibile anche aggiungere qualche parola didascalica. Anche se, in tema enogastronomico, la foto riesce a essere meno retorica del racconto. L'immagine è capace di contenere una storia con una fruizione istantanea, cosa che invece la parola, che in questo contesto rischia di diventare ripetitiva, non riesce a fare sempre. È molto difficile costruire qualcosa che con le parole non sia già stato detto, mentre con l'immagine non è così, soprattutto se il suo taglio non è banale. Un esempio: fotografare le bottiglie di vino è un mestiere vero e proprio perché c'è un gioco di riflessi molto importante per il quale occorrono attrezzature particolari. Viceversa si può fare il racconto di una bottiglia di vino o di un'etichetta senza cercarne la perfezione tecnica perché l'etichetta è a sua volta un racconto, per cui è possibile arrivare a uno scatto che fermi l'occhio per un istante».
Lei, ad esempio, si è specializzato nel settore della ristorazione, data la sua passione per la cucina, passione che peraltro l'ha portata a scrivere un blog. Perché curare le immagini è così importante nel processo di storytelling enogastronomico, sia l'azienda per cui si lavora un ristorante o un produttore di vino?
«Nel mondo della ristorazione, esistono tre processi di storytelling enogastronomico in relazione alle immagini.
Il primo caso riguarda il piatto finito, la cui immagine serve a due scopi: non solo invogliare il pubblico a mangiare il piatto, ma stimolarlo affinché lui stesso provi a cucinarlo, ovvero coinvolgerlo nel processo di creazione del piatto stesso.
Il secondo caso è la fotografia di cucina, il cui set si svolge nella cucina di un ristorante. Si tratta di una fotografia di racconto in quanto si cerca di mostrare con le immagini cosa accade in cucina. Il fotografo food si mette nei panni del cuoco, come se dietro la macchina fotografica ci fosse lo chef. Ad esempio, se il cuoco comunica di stare brasando il piatto, il professionista sa perfettamente cosa succederà di lì a breve. E siccome lo scatto equivale a un istante, molto spesso l'istante è esattamente ciò che serve ai fini dello storytelling enogastronomico. E il racconto di cucina è un racconto 'sudato', 'vaporoso' perché spesso si è all'interno di un ambiente di lavoro non del tutto idoneo per le attrezzature. Tuttavia, un esperto riesce a puntare sulla ricchezza di un istante, l'espressione del volto dello chef, così come i suoi occhi sui fornelli.
Il terzo caso si svolge sul tavolo del ristorante. È un'altra modalità di storytelling enogastronomico, perché si guarda il piatto dritto negli occhi. E questo punto di vista va a cercare il dettaglio del piatto stesso. Quindi, il food photography, conoscendo gli ingredienti, la preparazione e la tecnica di cottura, va a indagare i dettagli più interessanti. Il professionista fa in modo che al tavolo succeda qualcosa, riprendendo la mano del cameriere che posa il piatto sul tavolo, quella del sommelier che versa il vino, il gorgoglio del vino nel bicchiere».
Ma, al di là del mondo della ristorazione, quanto è importante che le fotografie siano in linea con l'identità visiva del brand e dei prodotti?
«Una delle parti più intriganti, sfidanti, difficili, ma se vogliamo anche più divertente in termini professionali, è quella di tradurre in una serie di fotografie un brand. Se il committente di un'azienda produttrice racconta la storia della sua impresa di famiglia, dove i temi principali sono il territorio, la tradizione e l'innovazione (temi peraltro ampiamente superati), il professionista deve tirare fuori da quel racconto un focus, e tradurlo in una gallery di immagini che devono comunicare l'approccio aziendale. Tra l'altro, se un'azienda ha una storia millenaria e si trova in una tenuta nel Po' pavese all'interno di una villa rinascimentale, di sicuro non è adeguato al brand e ai suoi prodotti fare una foto in stile metropolitano. Per cui la vera sfida è tradurre una sensazione in un'immagine coerente con il brand aziendale. Ed è proprio per questo che le aziende devono affidarsi a dei veri professionisti del settore».
Perché è assolutamente necessario avere una strategia di comunicazione?
«Oltre alla strategia, prima di tutto bisogna avere chiaro qual è il pubblico a cui ci si rivolge. Solo a questo punto si può costruire una strategia di comunicazione. Per fare un esempio, il fotografo food deve avere ben chiaro se gli scatti servono per la brochure o per i social di un'azienda, poiché a seconda del target cambia la strategia di comunicazione, e di conseguenza si costruiscono immagini diverse tra loro».
E se il committente non gradisce le immagini proposte dal fotografo?
«Questa è una problematica che i fotografi riscontrano diverse volte. A questo punto, compito del consulente è fare presente che le immagini devono piacere prima di tutto al pubblico a cui l'azienda si rivolge. E questo è uno degli aspetti più complicati. A volte sono ostacoli insuperabili, ma è sempre bene chiarire al committente quali sono i vantaggi e gli svantaggi che derivano da una determinata decisione. Questo accade spesso nelle piccole aziende, dove i fotografi food presentano, su richiesta, preventivi importanti per poi sentirsi dire dall'imprenditore o dal responsabile marketing di aver deciso di risparmiare, effettuando il lavoro con uno smartphone. Quindi, per evitare di giungere a questo punto, si deve avere sempre un approccio uniforme e condiviso rispetto a un servizio professionale, con tutti i vantaggi dell'affidabilità, della serietà e della professionalità del consulente».
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