Vale la pena investire sull'influencer marketing? A quali condizioni una campagna di influencing si rivela vincente? Lungi dall'essere una 'bolla' mediatica o un fenomeno passeggero, l'influencer marketing è sempre più spesso un ingrediente irrinunciabile del marketing mix digitale, per la sua particolare efficacia nel raggiungere target mirati e giovanissimi della generazione Alpha. Più che il numero dei follower, contano gli obiettivi.
di Gabriele Passini, social media manager per fruitecom
Se da un lato autentiche celebrità come Chiara Ferragni o Benedetta Rossi (rimanendo in Italia) hanno dato grande visibilità mediatica al ruolo dell’influencer, dall’altro non mancano ancora oggi scetticismo e snobismo verso una professione di certo non recente. Perché cambiano linguaggi, piattaforme, metriche di valutazione, genesi, ma il ruolo degli influenzatori sociali è sempre esistito, e sempre esisterà. Così come ci saranno sempre brand pronti a investire sul lavoro di influenza, così com’è accaduto anche in quest’ultimo travagliato anno
Tra diffidenze e obiettivi
Possiamo individuare sei fattori sui quali si scontrano le principali diffidenze, ancora oggi:
- “Sono capace anch’io di fare due video”. La genesi di molti influencer, specie dei micro o nano-influencer, avviene interamente all’interno delle stesse piattaforme social e il seguito raggiunto rischia di essere considerato del tutto casuale, un colpo di fortuna.
- “Non durerà, dai”. La popolarità, proprio perché spesso raggiunta in relativamente poco tempo, è percepita come poco solida o poco reale.
- “Ma saranno veri tutti quei follower?”. Ovvero la mancanza di criteri di valutazione sia qualitativi che quantitativi nella selezione e coinvolgimento degli influencer coerenti con i propri obiettivi e target.
- “E se poi posta qualcosa che a me non piace?”. Linee guida assenti o troppo vincolanti?
- “Chi mi dice che quei dati sono veri?”. Il timore che l’intera attività finisca con dati gonfiati, inattendibili e vaghi.
- “Ma ne vale davvero la pena?”. La domanda da un milione di dollari. Risposta alla fine dell’articolo.
Chiarite le principali diffidenze facciamo un passo indietro. Perché se spesso troviamo scetticismo e reticenze, a volte ci si ritrova nella situazione opposta: l’euforia sociale che sfocia in improvvisazione.
Conoscere le proprie esigenze
Prosi le domande giuste è sempre la cosa migliore da fare per non avere brutte sorprese:
- Quali sono i miei obiettivi? Awareness, coinvolgimento di precise community, posizionamento di un prodotto, spinta sulle vendite: l’influencer può aiutarmi in questo mio processo?
- Conosco bene il mio target? Non solo demograficamente e geograficamente, si intende. Quali sono le leve giuste per promuovere o vendere il mio prodotto? Quali sono le fasi della customer journey?
- Il mio prodotto è pronto per essere affidato ad un di tiktoker con milioni di follower o una foodblogger di nicchia?
- Ho budget sufficiente per un progetto di influencing, possibilmente a lungo termine?
L'influencer marketing non salverà il tuo business
Troppo spesso chi si accinge a un'investimento su questa attività parte dalla fine, ossia dalla scelta dell’influencer, dalle riflessioni sul numero dei follower o sul tipo di contenuti. Occorre invece fare un’attenta autoanalisi: del proprio prodotto, della storia del proprio brand e delle strategie di marketing attuate. E, non ultimo, un check sullo stato di salute della presenza social, dal sentiment e delle interazioni già presenti della community.
Senza avere a mente obiettivi, conoscenza del target, dati e affidare agli influencer un prodotto o servizio acerbo, all’interno di un sistema pubblicitario poco integrato può rivelarsi poco utile, se non un boomerang. Così com'è un passo falso saltare questi passaggi finendo per coinvolgere direttamente una superstar, affidandole la reputazione o addirittura la costruzione stessa del brand.
Quali sono i rischi reali? Innanzitutto sbagliare la scelta degli influencer. In secondo luogo dare indicazioni sbagliate o non avere il polso sull’intera attività. Terzo punto, ancora più grave: fare il passo più lungo della gamba. Dare nelle mani di una sola superstar le chiavi del proprio brand (più grande è più in proporzione i rischi aumentano), lo espone potenzialmente a gaffe di grande portata mediatica, come frasi razziste, sessiste o perfino reati. E tutto questo può causare danni reali, non soltanto un sentiment negativo. Se per sua natura il brand o il prodotto non sono ancora pronti, è bene fare un passo indietro. Se si hanno dubbi su quella precisa celebrità, meglio farne due di passi indietro. Il “purché se ne parli” nel 2021 non funziona più.
A che diavolo servono gli influencer nel funnel? Dipende. A vendere? A farvi conoscere l’amica dell’influencer? A migliorare la vostra reputazione? Secondo me l’unico modo di migliorare la vostra reputazione è costruirvela.
(Gianluca Diegoli)
Il passaggio cruciale ora è uno: evitare collaborazioni one-shot, dove il prodotto è come una stella cometa che scompare in poco più di 16 ore nei meandri del feed dell’influencer e, soprattutto, non torna mai più. Le collaborazioni continuative o comunque legate ad un progetto coordinato e multicanale sono l’unica strada in grado di dare un senso all’intera attività e generare fiducia.
La community deve avere il tempo di familiarizzare con il prodotto, o anche solo banalmente deve avere il tempo di vederlo: aumentare la frequenza pubblicitaria nei progetti legati all’aumento di notorietà è la base di partenza. Dall’altro l’influencer deve avere il tempo di raccontarne più sfaccettature: più contenuti, distribuiti su più mesi e nelle diverse stagioni (se non si parla di un prodotto stagionale), permettono più tagli, più focus, più formati, maggiori ispirazioni d’uso, maggior autenticità.
Come scegliere l'influencer: selezione, insight negoziazione delle linee guida e monitoraggio
Ma torniamo alle diffidenze. Che si tratti di celebrity che inondano i media tradizionali o che si tratti di micro o nano-influencer, la popolarità dei primi o l’autorevolezza dei secondi non sono certo frutto della casualità. Anzi, sono spesso proprio piccole e ricorrenti intuizioni che permettono loro di costruire credibilità e legami forti con la community nel tempo. Certo, occorre scremare. Oltre alla scelta stilistica, è necessario analizzare i profili e ricevere da parte loro dati demografici e statistiche della community: il target è naturalmente la base; poi si passa agli insight dei post, andando oltre le canoniche vanity metrics dei follower e dei like; la reach media e le impression sono dati altrettanto essenziali; così come lo sono il clickrate medio e le risposte medie ai sondaggi delle Instagram Stories; utenti unici del blog o sito e tempo di lettura medio (se hanno un blog). Tutti i numeri, insomma, devono tornare. Nessuna sorpresa, nessuna fregatura.
Occorre inoltre saper negoziare, stipulare accordi trasparenti e concordare contenuti in linea con il brand e soprattutto averne il controllo. Vincolare in maniera rigida i contenuti è un errore, lasciarli allo sbando lo è altrettanto. Un primo campanello sulla reale professionalità dell’influencer è proprio questa: se si piega alle richieste del brand senza colpo ferire non è un influencer. Se, d’altro canto, non rispetta le linee guida condivise non è un professionista sui cui puntare.
Una volta stipulato il contratto, la stesura del brief, la condivisione degli obiettivi e delle linee guida della brand identity sono infatti passaggi determinanti come lo è la condivisione di tutte le informazioni possibili relative al prodotto che sarà al centro dei contenuti. Pronunce o indicazioni geografiche comprese, perché la gaffe è dietro l’angolo e, lo sappiamo, il “web” non perdona. Poi si passa alla produzione vera e propria dei contenuti, sui quali è bene avere comunque a, anche qui per evitare sorprese o imbarazzi: non è mancanza di fiducia, bensì serietà.
Contenuti, formati, multicanalità e micro-influencer
Il video è senza dubbio il formato del momento. E lo sarà sempre di più. Verticali, con montaggi veloci, divertenti. TikTok, gli Instagram Reels e le Instagram Stories sono le tendenze del momento. Un po’ grazie agli algoritmi, un po’ perché risultano effettivamente più immersivi per l’utente che, con lo schermo occupato interamente dal video, fruisce i contenuti senza distrazioni. Testi a comparsa, musiche e filtri non fanno altro che aumentarne la potenza visiva ed esperienziale. Gli influencer di TikTok sono senza dubbio i più seguiti dalla Gen Z, dove le challenge hanno di fatto sostituito la pubblicità tradizionale. Ma l’influencer non deve essere trattato come un compartimento stagno del proprio marketing mix: legarlo ad un progetto, ad una campagna multicanale, coordinata e coerente, è la strada da perseguire. Tutto deve tornare per l’utente, tutto deve ritrovarsi.
Per questo è importante la continuità: se il budget non è sufficiente può tornare molto più utile investire in uno o più micro-influencer con interazioni alte, contenuti di qualità e coerenza visiva. Legarsi a qualche nuovo talento può essere una strategia vincente: niente è più naturale e apprezzabile di una crescita condivisa.
Quindi, ne vale la pena?
Certamente le campagne di advertising classiche ad oggi hanno CPM (costo per mille impression) ancora mediamente più bassi ma l’approccio all’influencer marketing è e deve restare differente: l’obiettivo resta si quello di assestarsi sui CPM vicini a quelli dell’adv, ma è bene tenere presente che un progetto in cui si coinvolgono creator di talento e creativi o celebrità o ancora micro-influencer molto verticali su determinati argomenti, produce un valore per il brand non misurabile in tempi ridotti. Dall’effetto alone alla conversione può passare anche molto tempo. Ma un progetto ben strutturato, multicanale e che tiene conto delle specificità dell’influencer, pur restando coerenti ai valori del brand, agisce sostanzialmente su tutti livelli: considerazione, consapevolezza, reputazione, sentiment della community, vendite. Il tutto portando a casa, comunque, contenuti di qualità e alternativi ai classici piani editoriali aziendali. Se si hanno le carte in regola, una presenza online già solida, obiettivi precisi, un buon budget e una prospettiva a lungo termine, l’influencer marketing resta una scelta assolutamente da provare.
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