Quali sono i segreti per il successo commerciale di prodotti tipici e a forte connotazione geografica? I marchi europei DOP, IGP ed STG contribuiscono al riconoscimento e alla tutela dell'origine e delle modalità di produzione di cibo e vino di qualità. Questi stessi marchi, tuttavia, hanno dimostrato di non essere sufficienti, da soli, a garantire il successo commerciale del patrimonio agroalimentare italiano. Alla base dei casi di successo nel settore, insistono fattori diversi quali la capacità di fare rete dei territori e lo sviluppo di strategie di branding e comunicazione solide.
Che cos'è un alimento tipico?
Per quanto la tipicità costituisca, oramai, uno dei tratti più rilevanti per la differenziazione dei prodotti agroalimentari, il significato della parola "tipico" rimane piuttosto ambiguo e polisemico (con significati molteplici, persino contraddittori). Manca, ad oggi, una definizione totalmente condivisa. In generale o, almeno, secondo la concezione di tipicità che prevale nella sensibilità europea, l'alimento tipico è tale nella misura in cui le sua qualità rimandano, direttamente, a qualità chimico-fisiche (clima, territorio, etc.) e umane (know-how, tradizioni consolidate, etc.) della zona di origine del prodotto stesso.
Allargando il problema alla filiera che definisce il DNA dell'alimento, notiamo che questa “dipendenza territoriale” può fare riferimento a elementi diversi:
- all’origine geografica delle materie prime;
- alla localizzazione delle attività di trasformazione, lavorazione, conservazione o stagionatura.
Anche se, per molti prodotti riconosciuti come "tipici", non è detto che entrambi i vincoli territoriali siano tenuti in considerazione. A seconda del tipo di riconoscimento e certificazione conseguito, è previsto, almeno secondo il sistema di regolamentazione europeo, un diverso livello di "tipicità": quella legata solo all’origine della materia prima; quella legata esclusivamente alle fasi successive di trasformazione; oppure, al limite, casi in cui compaiono entrambi i requisiti.
Potremmo dire che la "tipicità" di un alimento aumenti tanto più questi diversi legami di origine che attraversano la filiera sono forti.
"Ho scoperto che anche se fossi stato il compositore più stonato del mondo, avrei dovuto essere fiero di questa mia “tipicità”, perché in essa sarei riuscito ad esprimere la mia più genuina identità culturale"
Goran Bregovic
I marchi europei a tutela dei prodotti tipici
A partire dal 1992, l’Unione Europea riconosce e protegge regimi diversi di qualità tipica, a cominciare dal vino. Tre marchi diversi (DOP, IGP ed STG), nei quali è oramai facile imbattersi nel packaging di prodotti anche a larga diffusione, sono stati adottati per garantire il rispetto di norme produttive specifiche nell'arco della filiera produttiva. Il successo dei marchi UE è tale che i prodotti tipici europei sono oramai più di 3.000, e la possibilità di registrare e certificare un alimento avvelendosi del sistema europeo è stata estesa, da qualche anno, ai paesi esterni all'UE.
STG
Il marchio STG, considerato il meno stringente, è conferito a prodotti non riconducibili a zone geografiche specifiche, ma caratterizzati da modalità di produzione tradizionali e costanti nel tempo. Gli unici prodotti italiani ad aver ricevuto questo marchio, meno diffuso degli altri due, sono la Mozzarella, la Pizza Napoletana e – di recente – l'Amatriciana, una delle pietanze italiane più apprezzate (e profanate!) al mondo.
IGP
Il marchio IGP – a differenza del marchio STG – è considerato dalla legislazione internazionale, assieme al marchio DOP un'indicazione geografica. Cosa significa? Il marchio è attribuito ad alimenti che abbiano qualità (o reputazione) riconducibili a una zona di origine specifica, indicata nel nome del prodotto attraverso un toponimo. È sufficiente che una sola delle tre fasi della filiera – produzione, trasformazione, elaborazione – avvenga nell’area definita (es. Nocciola del Piemonte, Limone di Sorrento, Cappero di Pantelleria, Speck dell'Alto Adige).
DOP
Il marchio DOP è quello che esprime il legame più forte con il territorio di origine. Le qualità degli alimenti DOP sono inscindibili dal territorio indicato nella denominazione, e la loro intera filiera è ascrivibile, dalla produzione di ingredienti al confezionamento, alla medesima zona (es. Prosciutto San Daniele, Pecorino Toscano, Pane di Altamura).
Allo stesso modo, per quanto riguarda i vini (tenendo presente che dal 2010 la classificazione DOC, così come quella DOCG, è stata “ricompresa” nella categoria comunitaria DOP), le variabili da cui dipende l’attribuzione dei marchi riconosciuti a livello europeo sono la zona di produzione, lavorazione e imbottigliamento; la qualità delle caratteristiche chimiche, fisiche ed organolettiche del prodotto e le condizioni del processo di lavorazione.
Perché è importante salvaguardare e promuovere la tipicità dei prodotti agroalimentari?
Valorizzare i cibi, i vini e gli oli d'oliva tipici disseminati nella nostra penisola, anche attraverso i marchi europei di qualità, è fondamentale almeno per due aspetti:
- salvare l’identità culturale di un territorio e della sua gente, partendo dalle economie alimentari locali;
- preservare la biodiversità come strumento di caratterizzazione ambientale e sociale, come freno all’omologazione globale dei sapori.
Sensibilizzare i consumatori a una scelta etica nell’ambito dell’alimentazione significa anche comprendere le differenze esistenti tra un prodotto nazionale ottenuto in un determinato territorio e un alimento del quale non si conosce nulla: né dal punto di vista delle tecniche produttive e dei fattori della produzione che sono stati utilizzati; né da un punto di vista della tutela delle persone e degli ecosistemi che hanno contribuito alla produzione dell'alimento.
La DOP Economy italiana
La DopEconomy italiana, espressione che sta per il sistema economico-produttivo relativo ai prodotti tipici DOP/IGP/STG, è un driver rilevante non solo per il nostro PIL. L'agroalimentare tipico rappresenta un cruciale canale di influenza culturale e di soft diplomacy che si irradia nel resto del mondo, e contribuisce a rafforzare un'identità italiana nutre, con reciprocità, altri settori economici italiani in cui il gusto è la componente preponderante. Si pensi alla moda, al turismo, allo spettacolo e all'automotive, legati nell'immaginario mondiale a un saper vivere che va ben oltre i singoli settori merceologici italiani.
Come rivela l'ultimo rapporto ISMEA-QUALIVITA, il valore economico delle produzioni a indicazione geografica ha superato, di fatto, per la prima volta i 16 miliardi di euro e un primato mondiale con più di 800 prodotti DOP, IGP ed STG. L’export, invece, ha toccato la soglia dei 9 miliardi di euro (21% peso DOP/IGP), grazie al lavoro di oltre 180.000 operatori e l’impegno di 285 Consorzi di Tutela riconosciuti. In particolare, le tre regioni a maggior impatto economico risultano il Veneto, seguito dall’Emilia Romagna e dalla Lombardia. Mentre per quanto riguarda le province, salgono sul podio Treviso, Parma e poi Verona.
Dallo stesso Rapporto Ismea - Qualivita 2019 emergono ancora due aspetti caratterizzanti la DopEconomy: l’innovazione continua del settore – come l'aggiornamento dei disciplinari produttivi – e lo sviluppo del “policentrismo agroalimentare”, veri e propri distretti del tipico nutriti dall’aggregazione di operatori specializzati e marchi in un'area specifica, si pensi al distretto del Prosecco nel nord-est o a quello del Parmigiano nell'area medio-padana.
Il vissuto della tipicità
Nel sentire comune, non solo del passato, la tipicità denota regionalità, tradizione, artigianalità e una componente edonica talvolta superiore alla stessa salubrità. La percezione di eccellenza di questo tipo di produzioni avviene per estensione di attributi associati alle “buone cose di una volta” e, solo in parte, in virtù del rispetto dei disciplinari di produzione previsti dai marchi europei, vale a dire rigore del metodo produttivo e qualità certificata.
La diffusione commerciale, fuori dal contesto di produzione dei prodotti tipici, sui mercati sia nazionali che stranier, sembra essere favorita più dalla percezione di bontà dei prodotti, dal fascino suscitato dal loro radicamento nel territorio e dal loro opporsi a una cultura alimentare globalizzata, che non dalla loro percezione di sicurezza alimentare.
A tal proposito, è curioso apprendere che da un’indagine UNICOM del 2006, i consumatori del Nord d’Italia associavano l’idea di prodotto tipico al concetto di esclusività o di “souvenir” legato al turismo e tendevano a fare poca confusione tra prodotto tipico, piatto regionale o prodotto naturale. Inoltre, manifestavano più fiducia nei marchi in termini di garanzia di qualità, provenienza, produzione e legge.
Al Centro-Sud, invece, i consumatori confondevano spesso il prodotto tipico con la ricetta tradizionale e con il concetto di genuinità. C’era, in qualche modo, la convinzione che un prodotto tipico non potesse essere industriale, costasse di più perché artigianale e la produzione fosse necessariamente più limitata. In più, aumentava la sfiducia e lo scetticismo sulla credibilità stessa dei marchi, perché il prodotto tipico era considerato veramente credibile solo se acquistato nella sua zona di origine.
Dall’ultima indagine Nomisma del 2019 emerge, invece, che due italiani su dieci comprano alimenti DOP/IGP abitualmente e che l’attenzione a tali marchi, soprattutto per quanto riguarda l’olio extra vergine di oliva, è più forte tra i “salutisti” e tra chi ha figli piccoli in casa.
I marchi DOP, IGP ed STG bastano?
Nonostante il giudizio dei consumatori sui marchi di tutela sia generalmente positivo, poiché considerati “l’unico modo per difendere i prodotti”, nonché testimonianza della ricchezza enogastronomica nazionale e strumento commerciale per l'approdo alla distribuzione moderna e all'estero, vengono individuati dei “minus” all’interno dell’attuale sistema di certificazione europea tali da non favorire un'adeguata qualificazione e differenziazione dei prodotti marchiati:
- la corsa “ingenua” alla certificazione con l’irrealistica aspettativa che il riconoscimento di un marchio possa garantire il successo del prodotto;
- la corsa “indebita” alla certificazione sulla spinta di interessi di natura politica e non imprenditoriale;
- la saturazione del mercato, a causa di incrementi quantitativamente eccessivi di prodotti che richiederebbero e otterrebbero la certificazione soddisfacendo solo parzialmente i requisiti;
- l’aumento ingiustificato dei prezzi causato dall’abuso di questa vetrina in un mercato saturo di tipicità;
- la banalizzazione del significato dei marchi per effetto volume a causa della proliferazione dei prodotti a marchio.
Come evitare dunque passi falsi? I marchi europei possono essere necessari, ma non sono sicuramente sufficienti. Il loro conseguimento dev'essere parte di una strategia di posizionamento e comunicazione più ampia, finalizzata a tradurre le potenzialità e l'unicità dell'alimento tipico sul mercato.
Quando la simbiosi tra prodotto e territorio è vincente, sebbene recente: il pomodoro di Pachino
La storia del pomodoro di Pachino, "l'Oro Rosso di Sicilia" è relativamente recente. Benché la produzione di pomodori nell'area sembri risalire al 1925, con coltivazioni localizzate lungo la fascia costiera, in quelle aziende che disponevano di acqua di irrigazione emunte da pozzi freatici, due nuove varietà introdotte nel 1989 – il ciliegino Naomi e il Rita a grappolo – donarono un assoluto successo al pomodoro di Pachino: entrato nel cuore e nelle case degli italiani è da allora il "ciliegino" per antonomasia. Il pomodoro di Pachino rappresenta un caso esemplare di category marketing, e mostra come l'indicazione geografica possa assurgere a tipo, diventando sineddoche di un'intera categoria.
Dal 2003 "il Pachino" è IGP, ed è tutelato e promosso dal Consorzio di Tutela Pomodoro Pachino I.G.P. Il Consorzio di Tutela ha certamente svolto un ruolo decisivo tutelando la reputazione, difendendolo dai tentativi di contraffazione, comunicando la storia del territorio, promuovendolo e investendo in tecnologie, sostenibilità e innovazione.
La perfetta simbiosi tra questo ortaggio e il suo territorio ideale, il sud-est siciliano, testimonia come la tipicità possa essere anche più giovane ma certo non meno identitaria.
Il web può contribuire al successo delle DOP e IGP?
La prima ricerca su diffusione e reputazione digitale delle DOP/IGP (WEB DOP, Fondazione Qualivita, 2019) mostra dati molto incoraggianti, da un punto di vista quantitativo ma non solo. 6.500 contenuti al giorno pubblicati su blog, siti e social media, con 100.000 utenti coinvolti. Anche il sentiment positivo, che supera di quindici volte quello negativo, risulta essere un feedback determinante: i prodotti tipici godono di un’ottima reputazione. Non stupisce il dato sull’estero: il 55% delle conversazioni si svolge infatti fuori dallo Stivale.
Negli ultimi due anni c’è stato un vero e proprio boom social DOP/IGP: +63% delle IG Italiane con un account ufficiale e con maggiori investimenti da parte dei consorzi in sito web e social media (86% e 63%). I social media rappresentano ambienti strategici anche per le DOP/IGP italiane per diverse ragioni:
- Sono canali di diffusioni globale: le DOP/IGP sono ampiamente associate al più ampio e sempre solido Made in Italy
- Offrono la possibilità di targetizzare e dialogare con tanti pubblici diversi, compresi quelli più attenti ed esigenti
- Garantiscono costi per risultati più bassi rispetto ad altri media
La crescita sul web delle IG è accompagnata da una crescita costante dell’interesse dei consumatori globali: le menzioni delle DOP e IGP sono passate da 170mila a 230mila (+37%) in un anno. Per questo è necessario un approccio strategico e professionale attento e costante.
Un legame storico, tra intuizioni, rete e approccio digital: Il Melone Mantovano IGP
La coltivazione del melone nel territorio mantovano è antica e documentata storicamente. Presso l’archivio dei Gonzaga, Signori di Mantova, risultano documenti scritti nei quali vengono date notizie dettagliate in merito agli appezzamenti destinati alla coltivazione di meloni, i quali venivano regalati in dono ai Signori della città. In una lettera del 3 agosto 1548 il podestà Felice Fiera infatti “si assicurava le grazie del Duca Francesco Gonzaga offrendogli quattro frutti di forma tondo-ovale con colore giallo e striature verdi”.
Inoltre non mancano le testimonianze artistiche e letterarie di un legame con il territorio già saldo nel tempo. Nel Duemila i restauri della chiesa Santa Croce di Sermide, in una delle aree più vocate della denominazione, hanno portato alla luce affreschi risalenti al XVII che raffigurano i prodotti ortofrutticoli locali, tra cui i naturalmente i meloni. Inoltre lo storico bolognese Pietro de’ Crescenzi, già nel Medioevo descriveva i terreni della pianura tra l’Emilia Romagna e la Lombardia come ideali per la coltivazione del melone: «campi “grassi e gli umidi i quali tengono l’acqua lungamente».
Il melone mantovano è stato il primo in Italia ed è tuttora l’unico melone a fregiarsi del marchio europeo IGP. Alla base del successo commerciale, troviamo il saper fare rete dei produttori, la promozione su media tradizionali, ma anche un uso coraggioso di web e social media in particolare.
Sia su Facebook che su Instagram, infatti, la comunicazione e la presenza del Melone Mantovano IGP è costante e curata: immagini e contenuti rappresentano coerentemente il posizionamento premium del prodotto, considerato tra le migliori case history di settore. Gli investimenti multicanale del Consorzio degli ultimi anni hanno aiutato la crescita sia in termini di venditi sia in termini di reputazione e conoscenza nel consumatore.
Dal prodotto tipico al branding territoriale: il marchio ombrello Alto Adige - Südtirol
I prodotti alimentari dell’Alto Adige sono accomunati da una costanza estetica e valoriale capace di determinare la loro riconoscibilità e la percezione di qualità dei consumatori, che ne riconosce con fiducia e familiarità la provenienza e la qualità. La provincia autonoma può vantare, oramai da molti decenni, un sistema di branding trasversale che associa prodotti e servizi, alimentari e non, a una livrea inconfondibile.
Sotto il Marchio Ombrello Alto Adige risiedono infatti tutti i prodotti tipici del territorio: dallo Speck, alle mele, ai vini, fino al turismo. Una ricorrenza autentica ed equilibrata, che non rende indistinguibili i prodotti, ma che anzi ne riprendono i tratti secondo il principio dell’auto-somiglianza, dove “ogni elemento riproduce in sé le caratteristiche dell’intero sistema”.
Dal font scelto per il lettering al tono di voce fino ai tratti cromatici, la coerenza del sistema figurativo rafforza il posizionamento dei prodotti regionali, anche e soprattutto nei casi di co-branding, come accaduto per la Mela Alto Adige IGP e Marlene.
Marlene, emblema dell'Alto Adige - Südtirol
La costruzione di un brand attorno al prodotto tipico può fare traino per l'intera denominazione geografica. È quello che accade ad esempio con Marlene, brand di mele internazionale e tra i più noti del suo settore, che ha da sempre un forte legame con la sua origine territoriale e ne ha anzi esteso la eco, mettendola al centro della sua comunicazione.
Dal 2017 il pay-off che accompagna Marlene è di facile e decisa lettura: "Sono Marlene, figlia delle Alpi". Lo storytelling verte gli agenti fisici dell’Alto Adige: la luce del sole è la madre, il monte il padre, il tempo il suo maestro.
Un’associazione all'ambiente naturale forte, senza troppi artifizi barocchi, che attribuisce alla nota Mela tanti valori che il pubblico cerca nei prodotti tipici: qualità italiana, provenienza certificata, ambiente salubre, naturalità. Valori che le stesse conversazioni sul web a proposito rispecchiano.
Anche l’altro grande brand legato al mela Val Venosta, ha impostato la propria comunicazione sui tratti unici e le esperienze che si possono vivere in un autentico “Paradiso delle Mele”. Non mancano anche i casi positivi fuori dai confini altoatesini, dove i brand top player di riferimento hanno dato un impulso decisivo alla valorizzazione dei prodotti tipici. È avvenuto ad esempio con Arancia Rosaria per la Arancia IGP e Giuliano per l'UVA di Puglia IGP.
Le sfide globali per le risorse locali
In sostanza, quello che emerge è l’immagine di un settore nutrito di luci, ma contornato da alcune ombre.
È indubbio il primato dell'Italia nella varietà di prodotti tipici e locali, così come la varietà dei territori portavoce di un peculiare storytelling tra uomo e natura. D’altro canto, è evidente come il riconoscimento degli alimenti tipici attraverso i marchi europei DOP, IGP ed STG non sia, di per sé, condizione sufficiente al successo di mercato degli stessi.
Affinché cibo e vino siano legati dall'immaginario in modo indissolubile a un'area geografica e abbiano possibilità di sopravvivere e competere con omologhi non denominati, si rendono necessarie una serie di condizioni trasversali:
- la capacità di “fare sistema” per consentire a tante realtà produttive di rompere l’isolamento determinato dal basso peso specifico causato da un'offerta frammentata;
- la capacità di inserire il marchio DOP, IGP ed STG in una strategia di più ampio respiro, che collochi le qualità peculiari e il territorio in un posizionamento e un progetto di comunicazione coerenti;
- la capacità di associare i marchi DOP, IGP ed STG ad eventuali e ulteriori marchi territoriali e brand commerciali che compensino, quando necessario, le carenze comunicative insite nei marchi di qualità europei;
- la capacità di investire collettivamente in canali e modalità di comunicazione innovativi, come il web e i social media, per consacrare i prodotti tipici in narrative di consumo diffuse, come le case history menzionate testimoniano.
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