Come diffondere il proprio brand fuori confine? Una buona strategia di comunicazione internazionale tiene conto delle difformità culturali (non solo linguistiche) tra i paesi e mette in campo strumenti di mediazione per superarle.
In questo articolo approfondiamo l'utilità – per le aziende desiderose di espandersi all’estero – di associare l’attività di mediazione culturale a uno strumento di traduzione interculturale, la transcreation, mostrandone degli esempi.
Il caso Dolce & Gabbana: lost in translation
Il recente incidente di Dolce & Gabbana in Cina offre interessanti spunti per capire come evitare certe situazioni fastidiose. L’azienda è stata accusata di sessismo e razzismo, e le conseguenze della ferita inflitta al senso di appartenenza nazionale dei consumatori cinesi sono ancora difficili da calcolare.
Come ormai tutti sappiamo, i filmati oggetto dello scandalo mostrano l’Italia rappresentata attraverso noti (e usurati) cliché: pizza, spaghetti e cannoli siciliani. La Cina è incarnata da una giovane coreana (sigh!) che mangia con difficoltà il cibo italiano, impugnandolo a stento con le bacchette.
Il fatto ha stimolato un dibattito acceso sulle rappresentazioni post-colonialiste che affliggono l’oriente e sullo svilimento dell’identità cinese. Meno si è parlato dell’attitudine – piuttosto diffusa tra le aziende italiane – a basare la propria comunicazione internazionale su un sistema di stereotipi usurato e spesso ripetitivo, che poco valorizza la brand image e che punta tendenzialmente al ribasso sui pubblici stranieri.
Mediazione culturale: il cambio di prospettive
Quando un’azienda vuole presentarsi al pubblico internazionale deve adottare alcune precauzioni, cominciando dal mutare in modo camaleontico il proprio punto di vista, a seconda dei riferimenti culturali del paese target.
In questo contesto si inserisce una figura professionale ben precisa, ovvero il mediatore culturale. Il mediatore lavora per prevenire (ancora prima di curare), i misunderstanding che potrebbero sorgere nella comunicazione interculturale.
Numerose sono le qualità richieste al mediatore: capacità di traduzione, comunicazione interpersonale sensibile alle specificità degli interlocutori (etniche, religiose, linguistiche ecc.), l’ascolto e la valorizzazione (non l'appiattimento) delle differenze.
La mediazione interculturale si offre dunque come ponte tra le culture con obiettivi ben precisi: ridurre le distanze tra brand e stakeholder internazionali, assistendo le aziende nello sviluppo di strategie comunicative che tengano alla larga gli equivoci.
Cos'è la transcreation: non solo traduzione letterale
Tra gli strumenti del marketing improntati alla traduzione interculturale spicca la transcreation. Il termine transcreation deriva dall’unione di translation e creation ed è una pratica ormai molto diffusa soprattutto dalla pubblicità.
La traduzione è sempre una forma di interpretazione
La traduzione letterale è spesso causa di incomprensioni e imbarazzi. Tradurre da una lingua a un’altra (non solo in pubblicità) è qualcosa di più: significa adattare e riadattare le frasi e le parole affinché possano trasmettere significati ed emozioni analoghi anche nella lingua di destinazione.
In altre parole, una traduzione che parte dai contenuti e dai valori di cui il brand si fa carico, più che tentare di duplicare la forma che questi assumono nella lingua madre (per es. il claim in italiano).
Non tenere conto di questi aspetti può portare conseguenze nefaste: dalla perdita di senso del messaggio e del brand a equivoci ben più gravi, come il noto esempio citato.
L'esperto di transcreation: competenze interculturali e capacità espressive
L’esperto di transcreation è un traduttore (e spesso copywriter) con una profonda conoscenza delle culture coinvolte. Rispetto a un traduttore classico, si occupa quindi anche dell’analisi del contesto sociale nel quale lo slogan o la pubblicità andrà ad inserirsi.
Le competenze richieste all'esperto di transcreation sono molteplici:
- competenza linguistica: una conoscenza completa della lingua obiettivo è, ovviamente, indispensabile;
- competenza comunicativa e culturale: la conoscenza della lingua va applicata ai contesti pragmatici della comunicazione e alla cultura di destinazione;
- competenze redazionali e di copywriting: il transcreator ha originalità e ottime doti espressive, anche dal punto di vista formale e stilistico;
- competenza gestionale: problem solving e capacità di team working con gli altri esperti coinvolti nella comunicazione aziendale.
Due case history di transcreation dal tedesco all’italiano
La Germania è un partner commerciale storico e strategico per l’Italia. L’attrazione reciproca tra i due paesi, tuttavia, è fortemente condizionata dalla distanza linguistica e culturale, in senso lato. Alle differenze strettamente verbali, si aggiungono quelle che attraversano altre dimensioni della comunicazione: pragmatica, comportamentale, sonora, gestuale, e così via.
Nonostante ciò, la storia del marketing tra i due paesi è costellata di casi di buona comunicazione, e di buona transcreation. Vediamone due.
Primo caso: HARIBO
A chiunque, guardando la TV, sarà capitato di imbattersi nel melodioso videoannuncio che accompagna gli orsacchiotti di Haribo, azienda tedesca che ha sede a Bonn. Nella versione tedesca i bambini cantano: “Haribo macht Kinder froh, und Erwachsene ebenso”.